UNITRE MEDA

UNITRE MEDA

Università delle Tre Età

Ul murin (seconda parte)

UL MURIN: DA LUOGO DI VITA A BENE ARCHITETTONICO A RUDERE

Parte seconda

La facciata della cascina anni Sessanta (Fotografia, cortesia famiglia Falasco)

 

 

 

Il ponticello sulla roggia

L’acquisto del Comune nel 1981

Ha proposito dov’è il mulino? È lì, in bellavista dopo che le scavatrici l’hanno liberato dalla morsa mortale delle sterpaglie nel 2021. Che ne sarà di questo rudere? Quando nel lontano 1968 la signora Piera Mazza vedova Annoni passò a miglior vita all’età di 101 anni, l’edificio fu disabitato e si creò la possibilità di ristrutturarlo. Cominciarono lavori per trasformarlo in un ristorante, e vi costruirono una ala importante, poi i lavori subirono un fermo. Parte vecchia e parte nuova dell’edificio abbandonato vennero acquistate dal Comune nel 1981 assieme a tutta l’area circostante con una spesa complessiva di 224 milioni con l’intento di realizzare la nuova scuola elementare Diaz. L’area, di complessivi 51.600 mq, era stata pagata 154 milioni (3.000 lire al mq), mentre per lo stabile (di 3.700 metri cubi) si erano spesi 70 milioni di lire. Ben presto la destinazione d’uso dello stabile non fu più quella e si affacciarono ipotesi di riconversione diverse: sede delle associazioni sportive, sede della scuola professionale Regione Lombardia, poi cambiata la giunta comunale sembrava destinato a trasformarsi in una residenza sanitaria per malati psichici, ma l’idea rimase sulla carta e non se ne fece nulla. (Lo stabile del vecchio mulino, Medinforma, 3 marzo 1987)

Il rudere del Molino dopo il disboscamento nel febbraio 2021. La prima parte sono le mura del vecchio mulino, la seconda parte è l’aggiunta fatta negli anni Ottanta

L’avvallamento del terreno è il letto della roggia Traversi, mentre nella parte recintata sono emerse le pietre che formavano la chiusa per irrigare i terreni

Gli affreschi del Sartoris

Precedentemente accennavo del Ligerê quale artista di strada. Questo bizzarro individuo che si firmava Sartoris, sappiamo che si intendeva di parecchie lingue ed aveva una preparazione pittorica e prospettica notevole, questo lo si evinceva dai suoi murales. Le idee dell’artista, leggo in uno stralcio di giornale senza data, che «è facile capirle da un quadretto dove sotto il titolo “Il freno allo Stato d’Italia” rappresenta un bel campanile e grandi palazzi, insomma i preti ed i ricchi. Forse per questo i proprietari del mulino fecero coprire gli affreschi con un denso manto di calce. Poi la calce sparì nel dopoguerra e gli affreschi tornarono alla luce, dimostrando che il loro autore anche in fatto di preparazione dei colori era afferrato e competente. Queste pitture che sembrano percorrere alcune correnti dell’arte moderna hanno in sé qualcosa di anarchico , di ingenuità di candore, che gli artisti dell’Ottocento esprimevano nelle edicole religiose, nelle insegne, negli ex voto».

Gli abitanti

Agli inizi del Novecento due famiglie Annoni di Agliate subentrano ai signori Motta che da un secolo dirigevano il mulino. Gli Annoni, erano famiglie di mugnai da generazioni, basta sapere che i mulini di Bernate sul Ticino, di Cuggiono, Agliate erano gestiti da loro.

Alfonso detto Funsin (1885-1961, sposato con Amalia Buzzi 1885-1952) con altri due fratelli e i cugini Antonio, Giulio e Alberto si stabilirono, con le rispettive famiglie, nei locali della cascina. Il lavoro non dava da mangiare a tutti, tanto che scelsero di intraprendere diversi lavori. Inizialmente i cugini Alfonso e Antonio continuarono l’attività di mugnai, poi subentrarono ad Antonio i nipoti Luigi (1918) e Felice (1922). Ancora oggi si ricorda Alfonso con il suo carro trainato dal cavallo che girava per i campi caricando i sacchi di granoturco e frumento per macinarli in farina. Attività continuata da Luigi con il suo motocarro, mentre Felice era fisso al mulino. Naturalmente i clienti occasionali erano parecchi perché molti avevano animali da cortile. Si presentavano in bicicletta con il proprio sacco di cereali ed attendevano il loro turno per la macinatura.

L’attività col tempo andò scemando soprattutto per la scarsità dell’acqua che correva nella roggia e come se non bastasse, nel 1951, un’inondazione provocò gravi danni alla cascina obbligando i proprietari Silva a chiudere il corso d’acqua medese. Per qualche anno il mulino funzionò con la corrente elettrica poi nel 1962 cessò ogni attività e la famiglia Annoni si trasferì nell’attuale abitazione di via Farga dove aprì un negozio di mangimi per animali e cereali (Raggio di Sole ha cessato l’attività il 1°marzo 2020).

Nei locali della cascina i fratelli Giulio e Alberto impiantarono una bottega di falegname. Il destino volle che rimanessero vedovi e si risposassero con due donne di Sormano. Giulio si unì in matrimonio con Piera Mazza e Alberto con Virginia Vicini. La “zia Piera” ha vissuto fino a 101 anni ed è stata il punto di riferimento delle famiglie della cascina, in particolare per i Falasco.

La famiglia Falasco arrivò da Polverara (PD) e inizialmente abitò a Muggiò poi, grazie all’interessamento dei signori Beo, nel 1937si trasferì a Meda. Era costituita da Giuseppina Paccagnella vedova di Cesare Falasco e dai i figli Vittorio (1910), Giuseppe (1912), Piero (1913), Alberto (1918), Serio (1920) e Rosa (1921) e Ida l’unica che rimase in Veneto. Vittorio morì durante la Seconda guerra mondiale, Alberto si sposò e cambiò casa, così fecero Serio (con Bambina Colombo della cascina del Birun), Rosa (con Colombo – Pagnin). Rimasero ad abitare in cascina Piero (celibe), Giuseppina Tono coi figli, Bepi con la moglie Esterina Zanella e i figli Giancarlo (1943), Adriano (1945), Vittoria (1946), Letizia (1948), Luciano (1950), Antonio (1951).

I Falasco lavoravano nelle fabbriche della zona e nelle botteghe artigiane, poi si rimboccavano le maniche per il lavoro dei campi (frumento, granoturco e foraggio), per accudire gli animali da cortile (galline, conigli, tacchini) e quelli da stalla (mucche, cavalli, maiali), poi c’era la cura dell’orto. I rapporti tra gli Annoni e i Falasco furono sempre cordiali, improntati sull’aiuto reciproco.

1965, fotografia tratta dall’album di sposa di Anna Maria Falasco e Luigi Griggio. (Fotografia, cortesia famiglia Falasco)

Vittorio Falasco e Giuseppina Tono

Vittorio Falasco era il figlio maggiore. Era arrivato a Meda già sposato con Giuseppina Tono il giorno di san Martino del 1937. Aveva trovato impiego alla Balbis e Bari (Bartulòt). Nel 1939 la famiglia aumentava con la nascita di Cesarina, a cui seguirono Ambrogio nel 1940, Anna nel 1942.

Quando venne alla luce Ambrogio, Vittorio era in guerra ed essendo nato il giorno di sant’Ambrogio il vicino di casa Alfonso Annoni propose di dargli il nome del santo del giorno patrono della chiesa milanese. Purtroppo, nel luglio del 1945 si presentò in cascina il parroco don Marcello Gianola per annunciare la notizia della morte di Vittorio in Germania. Fu un duro colpo non solo per l’incertezza sul futuro, ma anche perché Giuseppina e Vittorio si volevano veramente bene, lo si deduce dalle lettere che l’uomo spediva dal fronte così piene d’amore, di tenerezza verso l’amata moglie.

Negli anni Cinquanta dal Comune arrivò un avviso nel quale si invitava la vedova a raggiungere Roma per accompagnare la bara del marito giunta dalla Germania. Per fortuna che Giuseppina si accorse che il numero di matricola non corrispondesse a quella di Vittorio e quindi lo fece presente al signor Salice, impiegato comunale, e declinò l’invito di recarsi nella capitale.

Finalmente nel 1970 arrivò la lettera da Roma che annunciava l’arrivo delle spoglie del soldato. La bara, appena arrivata in paese, fu posta nell’androne del municipio trasformato per l’occasione in camera ardente, da lì partì il corteo fino al Monumento ai Caduti dove la cassettina fu collocata nella cripta.

La tragedia di Albenga

16 luglio 1947, Albenga. Durante la colonia estiva a Loano, ottantaquattro bambini (dai 4 ai 7 anni) furono imbarcati sulla motobarca “Anna Maria” per dirigersi verso l’isola di Gallinara nel Mar Ligure di fronte ad Albenga, quando il natante urtava un palo che sosteneva lo scarico delle fogne cittadine che sporgeva a pelo dalle onde marine e cominciò ad imbarcare acqua. Trovarono la morte: quarantatré bambini e un altro morirà in ospedale, tre donne addette alla vigilanza e una delle loro figlie.

I morti erano in prevalenza milanesi orfani di guerra, ospiti della colonia detta “Solidarietà Nazionale”. Il funerale fu officiato in Duomo dall’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster, alla presenza dell’allora Sindaco di Milano Antonio Greppi, di tutto il Consiglio Comunale e di una folla silenziosa e commossa. I nomi di tutti coloro che persero la vita sono oggi scolpiti sul marmo del monumento funebre eretto nel Cimitero Maggiore di Milano, opera dello scultore Giacomo Manzù. Si tratta di un bassorilievo in bronzo che raffigura Gesù circondato dai bimbi, con la frase del Vangelo di Matteo: «Lasciate che i piccoli vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli». Anche sul litorale di Albenga l’allora Sindaco Libero Emidio Viveri ad un anno esatto dal naufragio, nel luglio del 1948, inaugurò un cippo marmoreo.

Cesarina Falasco era una di quelle bambine che dalla riva assistettero alla tragedia. In colonia c’erano i piccoli medesi Cesarina e Ambrogio Falasco, Vincenzo Perego ed Antonio Oliva. I tre bambini erano saliti sul battello, Ambrogio e Vincenzo si salvarono, Antonio (classe 1943) fu l’unico che decedette in ospedale. Il piccolo era già stato precedentemente ricoverato per una grave forma di polmonite, poi dopo il naufragio, le sue condizioni di salute peggiorarono portandolo alla morte. La famiglia Falasco, a ricordo del fatto e per la grazia ricevuta, fece appendere un quadretto al fianco sinistro della statua della Madonna presso il nostro Santuario e tolto ultimamente in occasione del restauro della chiesa. Rappresentava Maria che proteggeva il piccolo Ambrogio travolto dalle acque con sotto la scritta: «Falasco Ambrogio di 7 anni salvato per miracolo dall’affondamento nelle acque di Albenga – 26-7-1947- per riconoscenza». La sorella Cesarina da quello shock con fatica si riebbe ma gli rimasero i segni di psoriasi che ancora oggi porta. Di quei momenti tragici così ricorda: «Arrivarono i pullman carichi dei parenti da Milano per riconoscere i propri morti. Io e due miei zii di parte materna cercammo mio fratello e non lo trovavamo, poi sentimmo una voce invocare la mamma che proveniva da una camera dell’ospedale, compresi che era Ambrogio. Ritornammo a casa con i pullman che sopra avevano caricate le bare con i morti».

L’arrivo delle bare in Duomo a Milano nel 1947. (Fotografia, cortesia famiglia Falasco)

Ex voto per la salvezza di Ambrogio Falasco. (Fotografia, cortesia famiglia Falasco)

Felice Asnaghi