Ulteriori notizie sulla roggia Traversi
Nella prima pubblicazione di “Corti e cascine” ho trattato la roggia Traversi, con questo ulteriore articolo aggiungo notizie, curiosità di interesse storico con ricordi che sono entrati nell’immaginario collettivo della comunità medese.
[expand title=”Atti”]
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[expand title=”Il percorso della roggia tra il Tarò e la via Vignazzola”]
Ora riprendiamo il percorso della roggia Traversi che avevamo lasciato, nell’articolo precedente all’altezza del Tumbun della Cassina. Qui l’acqua della roggia passava sotto il letto del torrente Tarò mediante un sifone evitando che i due corsi d’acqua si mischiassero e continuava il suo tragitto all’aperto per una decina di metri in prossimità dell’attuale via General Giardino. Prima di piegare di qualche grado a destra per imboccare la via, un canale di ritorno scaricava eventuali piene (d’acqua) nell’altro lato del Tarò (a ridosso della azienda Cassina, direzione il fiume Seveso). Con un andamento rettilineo attraversava la Medaspan e transitava nel tratto della strada ferrata FF.SS costruita ben sei secoli dopo e predisposta sopra il torrente. Si manteneva sulla destra della via Grado (dove c’è la rampa di risalita della superstrada da Milano) e raggiungeva Baruccana.
L’alveo della roggia (oltre un metro e mezzo di profondità) delimitato dal Tarò fino all’incrocio con la via Vignazzola fu cancellato nel secondo dopoguerra in due momenti precisi: il primo tratto al di qua della ferrovia fu coperto in occasione della costruzione del complesso industriale Medaspan avvenuto tra il 1949 e il 1951; il secondo tratto venne chiuso sia con l’edificazione dello svincolo della superstrada Meda-Milano nei primi anni Sessanta che interessò ben centomila metri quadrati di terreno di cui ben settanta duemila dei di Carpegna, sia con l’edificazione di case ed edifici privati costruiti sempre su una lottizzazione dei conti di Carpegna.
[expand title=”Anno 1737: lo scontro tra popolo e soldati al punt del Seves“]
La storia della nostra città registra nel 1736, il giorno di Santo Stefano, un fatto davvero unico: quel mattino una delle due campane del campanile del nostro santuario, allora chiesa parrocchiale, mentre suonava a distesa si incrinò e il Comune si diede da fare per raccogliere i soldi e sostituirla. Partì subito una colletta organizzata dalle autorità comunali per acquistarne una nuova. Le monache del nostro monastero, da sempre signore e padrone della chiesa e del campanile, misero le mani avanti e onde evitare eventuali pretese comunali. si affrettarono a sostituire la campana tanto che il 9 gennaio del 1737 già era al suo posto e suonava a distesa. Questo fatto non piacque a qualcuno, tant’è che la notte seguente la campana precipitò in piazza e miracolosamente non si ruppe. Per il paese fu una notte insonne. Ma il peggio doveva arrivare. «La Badessa aveva infatti sùbito, nella notte stessa, spiccato un corriere a Milano invocando aiuto, e il corriere tornò nel pomeriggio annunciando che fra qualche ora sarebbe arrivato l’Avvocato fiscale con opportuna scorta. Questa notizia, subito conosciuta da quei del Comune, in modo da calmarne gli animi, gli esasperò a tal punto che mossero armati dei loro strumenti campestri ad incontrarli decisi ad ogni estremo. Incontrarono infatti che era già notte, l’Avvocato in carrozza e sei militi a cavallo nei pressi del convento dei Domenicani di San Pietro Martire, e la turba inferocita diede addosso ai malcapitati, che non s’attendevan tale sorpresa e che ebber appena in tempo di mettersi in salvo, l’Avvocato abbandonando la carrozza e rifugiandosi a gambe levate nel detto Convento, gli altri dando di volta ai cavalli galoppando verso Milano».
Questa appassionata cronaca degli eventi iniziali della famosa “guerra della campana” scritta da Carlo Agrati nel suo Turismo in Provincia del 1932, trova una diversa ricostruzione nella fantasia popolare, i cui eventi si svolgono presso ul punt del Seves: al di qua della roggia i medesi, al di là l’avvocato con i suoi militi. Ricostruiamo lo scontro. Un bel gruppo di medesi armati di forche, falci e qualche archibugio, capitanati da un certo “console Cassina” ovvero un legale rappresentante del Comune, si attesta nei pressi del punt del Seves, quando l’Avvocato fiscale e la sua scorta è al ridosso della roggia, scatta la sorpresa: i nostri contadini urlando come forsennati muovono all’attacco. La scorta militare pensa bene di scappare, mentre il povero Avvocato con fatica gira la carrozza e fa in tempo a trovare rifugio nel convento dei Domenicani di San Pietro. Il giorno dopo, sappiamo che da Milano arriva un drappello di guardie che arresta i responsabili dell’imboscata, i quali verranno processati e severamente puniti.[/expand]
[expand title=”Ul post de bloch“]
La zona al di qua della roggia dove venne poi edificato il rione di Cà Pupulari era denominato Post de bloch. In realtà il territorio era più ampio e correva lungo l’alveo della roggia interessando anche largo Terragni. Ciclicamente scoppiavano scontri verbali e maneschi con i falegnami che arrivavano da Barlassina e Seveso trasportando sulle loro carriole i manufatti da consegnare alle grandi aziende medesi e questo indispettiva i nostri artigiani.
Al di là della roggia nei terreni del Banderü (via delle Cave) e del Mulino si accampavano carovane di zingari . Erano una presenza poco gradita in quanto fonte di continue liti per le quali doveva intervenire la guardia comunale. La memoria popolare ci tramanda un fatto particolare. I gitani organizzavano battute nei boschi del Banderü con i loro cani per raccogliere i ricci. Questi animali venivano immersi nell’acqua bollente per ripulirli dai loro aculei e scotennarli; le povere bestiole mandavano grida tanto stridenti da far accapponare la pelle e urtare i nervi. Poi naturalmente venivano mangiati.
Questi terreni erano meta annuale per mandrie (bergamine) e greggi di passaggio nel loro vagare dal piano al monte. Usufruivano dell’erba dei prati irrigati e quando ripartivano rimaneva ben poco sul terreno. Mandriani e pastori preferivano fare sosta a Meda anche perché mons. Antonio Motta metteva a disposizione la casa dalla facciata color rosa di via Colombo vicino al ponte.[/expand]
[expand title=”Disegno per una Travaca da farsi sul Terrò a Meda”]
Daniele Santambrogio nel 2014 ripropose questo interessante disegno che era già stato pubblicato da Roselva Maffeo in “I Quaderni della Brianza” – anno 1996 nell’articolo dal titolo “Un progetto del 1783 per deviare il torrente Certesa (il Tarò) al fine di migliorare l’irrigazione dei boschi di Meda e Seveso”.
«Nel 1783 il conte Giberto V Borromeo Arese, a cui spettava la manutenzione del “ponte-canale” della roggia di Desio che si immetteva nel Terrò (n.d.r. Tarò di via Cadorna detto ul tumbun) stanco dei ripetuti danni causati dalle piene del torrente al manufatto, diede incarico all’ingegnere collegiato Giuseppe Antonio Pessina di redigere uno studio di fattibilità per deviare a monte il Terrò (n.d.r. lungo l’attuale via Seveso) e mandarlo a disperdersi nei boschi un tempo presenti tra Meda e Baruccana di proprietà Borromeo. Il progetto venne però sconsigliato dallo stesso ingegnere. Tale relazione si conserva nell’Archivio Borromeo Isola Bella “Fondo Stabili in Mariano – Acque”.
L’ingegnere presenta un progetto di massima (corredato di misure) per sostituire la “Levata” (il ponte canale della Roggia Viscontea di Desio sul torrente Tarò) con una “Travaca”, ossia un’opera idraulica di presa mediante sbarramento. Il disegno riporta in basso la scala in trabucchi milanesi (1 trabucco = 2,61 m). Per ogni tratto di canale è indicata la lunghezza ed il dislivello in trabucchi, braccia (1 braccio milanese = 0,59 m) e once (1 oncia milanese = 3,62 cm).
La roggia sarebbe stata deviata con due percorsi a forma della lettera “L”, forse tra loro alternativi oppure da realizzarsi assieme, ove sono indicati con le lettere A e B i due nuovi ponti-canale da farsi più a valle rispetto a quello esistente lungo il torrente (indicato con la lettera C). Il tratto nuovo passante per A, più corto, era lungo circa 420 m con un dislivello pari a circa 1,5 m. Quello passante per B era lungo circa 616 m con un dislivello totale di 65 cm (il tratto in verticale era più ripido, ma quello in orizzontale era in contropendenza). Dal disegno si apprende che la larghezza del ponte-canale esistente era di 35 braccia, vale a dire circa 21 m, molto di più rispetto all’attuale sezione del Tarò oggi obbligato a scorrere tra il cemento. Inoltre, sono pure indicate le profondità dal fondo del torrente nei punti A e B, da cui si evince un lieve abbassamento delle sponde da monte verso valle.
L’intento era quello di convogliare nell’alveo della roggia, mediante la nuova opera di presa, una parte della portata del torrente, così da incrementare quella della roggia. Va tenuto conto che poco più a monte dell’intersezione tra i due corsi d’acqua, dalla Roggia di Desio si staccava il cosiddetto “Roggiolo” che portava acqua al convento domenicano di San Pietro Martire a Seveso, quindi l’idea di rimpinguare la roggia con le acque del torrente aveva un certo senso. A quanto risulta, rimase solo un’idea… e tale opera idraulica non venne mai realizzata, forse per i costi elevati dovuti anche al passaggio dei nuovi alvei di canale su terreni coltivi privati.
Purtroppo, sebbene vi sia la legenda, il disegno non risulta né datato e né firmato. Tuttavia è di sicuro opera di un professionista (un ingegnere idraulico) incaricato dalla nobile Casa Borromeo, forse dal conte Carlo IV Borromeo Arese o da sua madre donna Giulia Arese, che all’epoca, assieme al marchese Cusani, era tra i più importanti utenti inferiori del corso della Roggia di Desio.1 Si precisa, inoltre, che il manufatto di scavalco della Roggia di Desio sul Terrò, ubicato in territorio di Meda presso l’attuale ponte sul torrente di via Cadorna, apparteneva ai conti Borromeo Arese a cui spettava pure la manutenzione>>.
Infine due note. La prima: sul retro del disegno è annotato in alto “Mariano x Acque” e al centro “Disegno della Roggia di Desio x Mariano”, ma si tratta di un errore in quanto questa antica roggia non passava per Mariano ed inoltre, l’intersezione con il torrente Terrò era in Meda. Errore dell’allora archivista di Casa Borromeo.
La seconda: proprio nel 1680, le famiglie Borromeo e Cusani, principali Utenti Inferiori del corso della Roggia di Desio, incaricarono l’ingegnere camerale Andrea Bigatti di stendere una relazione di sopralluogo sulla Roggia di Desio. Nel 1687 venne commissionato un ulteriore sopralluogo all’ing. Agostino Regalia. (In “Percorsi Desiani” – Massimo Brioschi – Ed. Città di Desio – 2006).
Forse tra questi due ingegneri va individuato l’autore di questo disegno.
La Travaca, un progetto idraulico per deviare il torrente Certesa (il Tarò).
La legenda in alto a destra del foglio riporta:
A- Sito ove andrebbe sopra detto Fiume il Canale, in Altezza dal Fondo di detto Fiume Braccia 4 Once 2;
B- Disegno d’altro Canale, in altezza dal Fondo di detto Fiume Braccia 3 Once 9;
C- Sito ove è la Levata vechia, e pensano da farci la “Travaca” .
Archivio Borromeo Isola Bella “Fondo Stabili in Mariano – Acque”
Note
Ringrazio Gianpietro Asnaghi, Francesco Busnelli, Piergiuseppe Locatelli, Enrico Radice, Paolo Vergani per il loro contributo a vario titolo ne “Il percorso della roggia tra il Tarò e la via Vignazzola”.
I due aneddoti “Anno 1737: lo scontro tra popolo e soldati al punt del Seves” e “Ul post de bloch” sono il frutto di più racconti riportatomi da anziani del luogo negli anni Ottanta supportati da ritagli della pagina locale de “Il Cittadino della Domenica” del 1959.
La scheda “Disegno per una Travaca da farsi sul Terrò a Meda” è pubblicata in
http://www.vivereilpalazzo.it/doc/pubb/travaca_sul_tero.pdf a cura di Daniele Santambrogio, dell’Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo e Magazzeno Storico Verbanese (2014).
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Felice Asnaghi